Mio figlio è un assassino

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“Mio figlio è un assassino, non mi vedrà mai più”: parlano i genitori dei minorenni killer di Piscinola

‘Repubblica’ ha incontrato i familiari dei tre ragazzi arrestati per l’omicidio della guardia giurata. Un doloroso viaggio casa per casa tra familiari e amici. Storie agghiaccianti di vite bruciate nei rioni popolari della periferia di Napoli

dal nostro inviato CONCHITA SANNINO
18 marzo 2018

Sesto piano di un edificio popolare a Piscinola. La signora si chiama E., ci accoglie in cucina con i sandali e una vestaglia rosa, sta cucinando, ha solo 45 anni.

È la madre di uno dei tre ragazzi – un 15enne, due 16enni – che hanno ucciso a bastonate una guardia giurata, Francesco Della Corte, per rubargli la pistola mentre chiudeva il cancello della metropolitana di Piscinola-Scampia. La volevano vendere per ricavare 5-600 euro. Della Corte rantolava, dopo i colpi. “Pensavamo che russasse”. No, stava morendo. Gli assassini sono stati arrestati tutti e tre. E Repubblica – casa dopo casa, famiglia dopo famiglia – ha ricostruito le loro vite bruciate attraverso il racconto dei familiari.

La signora E. è provata. “Ho detto a mio figlio che ora non mi vedrà più. Io non ci volevo credere che avevano fatto una cosa così assurda. Anche se lui ha guardato solamente, perché io non ci credo che lui ha colpito, ma deve pagare il suo reato. Non ha voluto studiare, lo stavo mandando in Germania a lavorare. Era l’unico modo per salvarsi”.

Mostra dal pc un ticket: “Qui c’è il biglietto telematico: giovedì doveva partire. Per pochi giorni si è distrutto la vita”. Il ragazzo indagato ha un fratello gemello, alto e sottile, che ora sembra sotto shock: “Non avevo capito niente, non si è confidato. Lui usciva con gli amici, io ormai stavo solo con la mia fidanzata”.

Di giorno se ne stavano a letto. Di notte in strada. Fino alla più vicina “cornetteria”. Segni particolari: nessuno. Così L., K. e C. sarebbero diventati assassini per noia. Massacratori di un inerme vigilante solo per sete di soldi e potere. Storia di tre ragazzi nati e bruciati a Piscinola. Fino agli arresti di un dirigente vecchio sbirro, Bruno Mandato. Ecco le loro vite, viste dall’interno.

• GLI IPHONE DISTRUTTI DI L.
Il più “piccolo”, per l’impianto accusatorio, è anche il più spietato e sicuro: L., 15 anni compiuti a dicembre. Sarebbe stato lui a ideare il piano, il primo a colpire. Genitori separati da quattro anni, ma è il padre, G., con la faccia a metà tra desolazione e assenza, a raccontare a Repubblica come si perde un figlio “senza poter far niente”, praticamente senza accorgersene.

La madre di L., A., è invece ancora “in Germania, stava aiutando un altro figlio, oggi manovale all’esterno, a fare il trasloco”. “Che devo dire? – comincia suo padre – Mi dispiace tanto per quel pover’uomo morto. Lo vedo poco mio figlio, da quando la madre se ne andò con un altro, continuo a vivere nel mio scantinato, però mio figlio L. stava con la mia ex moglie a casa della zia materna, dove però stanno bene, non gli manca niente. In questi giorni, stava così normale e tranquillo che mi ha chiesto i soldi per comprare le fedine d’oro per lui e la fidanzata, e gli ho dato pure 300 euro, io che mi sono sempre arrangiato”. Occhi di un genitore impotente: “Un figlio viene come vuole lui, come le piante, crescono storte o dritte e tu non ci puoi fare niente”.

L. ha una denuncia a 12 anni per un’aggressione, il fratello aveva precedenti per droga. A pochi metri, ecco l’edificio dove L. vive con la zia E. Lei, madre di 3 figli, apre la porta, ti mostra la stanza confortevole, con televisore a schermo piatto a muro, dove dormiva il ragazzo. “Mio nipote l’ho sempre visto come un bravo ragazzo. Gli ho comprato almeno un paio di iPhone, tutti distrutti. La mattina dormiva, la sera usciva. Io gli dissi: Uè basta, devi andare a lavorare. E pareva convinto, aveva deciso di fare il panettiere”.

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IL BIGLIETTO AEREO DI K.
Anche K. ha genitori separati, quattro fratelli – due dei quali all’estero, operai in Germania anche loro. Suo padre fa il parcheggiatore abusivo, economicamente assente, la madre – in precarie condizioni di salute – sopravvive “facendo pulizie ovunque, dagli uffici ai ristoranti”. Sesto piano, stesso edificio popolare. La signora si chiama E. “Ho detto a mio figlio che ora non mi vedrà più”. Il ragazzo indagato ha un fratello gemello, alto e sottile, che ora sembra sotto shock: “Non avevo capito niente, non si è confidato. Lui usciva con gli amici, io ormai stavo solo con la mia fidanzata”.

I POST FEROCI DI C. IL TERZINO
Il padre di C., imbianchino, alle 6 del mattino ha lasciato il cantiere per precipitarsi in Questura, quasi in lacrime, con gli abiti sporchi di lavoro. “Veramente mio figlio ha fatto questo?”. Eppure C. aveva un sogno e un talento: fare il calciatore. Giocava con l’associazione “Brothers” di Chiaiano, fucina di promettenti atleti. “Stava per avere un contratto con una squadra della B”, racconta la famiglia. Peccato che, a leggere il suo profilo Fb, non era mai stato un mite.

In un post inneggia a Totò Riina: “Certe cose prima si fanno e poi si dicono… R.I.P Zio Totò”. E ancora, a dicembre: “Un leone non si preoccupa del parere delle pecore”. Più recentemente: “Se non giochi col fuoco morirai di freddo”. Eppure C. sarebbe stato, dei tre, il meno violento. Ha raccontato agli inquirenti che lui “guardava e basta”. Guardava mentre gli altri uccidevano, e bruciavano la vita di un innocente, insieme alla propria.