Terrorismo, attenzione ai combattenti

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Terrorismo, attenzione ai combattenti stranieri che ritornano in Europa

Intervista di Vanessa Tomassini a Stanislav Matejka

From Criminals to Terrorists and back?”. È questo il nuovo progetto presentato ieri a Milano presso la prestigiosa Università Cattolica da ITSIME e GLOBSEC, un’organizzazione indipendente e non governativa di Bratislava. Il progetto, il più grande sforzo di ricerca nel suo genere fino ad oggi, cerca di determinare se esiste davvero un nesso tra criminalità e terrorismo. A margine del seminario, organizzato dal professor Marco Lombardi, Direttore del Programma ITSTIME, abbiamo incontrato Stanislav Matejka, Junior Research Fellow, Difesa e Security Program, GLOBSEC Policy Institute.

Gli autori degli attacchi terroristici a Madrid, Parigi, Bruxelles e Londra avevano tutti precedenti ‘ordinarie’ carriere criminali. Come fanno i criminali a diventare terroristi?
Questa è un’ottima domanda, il lavoro che facciamo comprende 11 paesi europei e in tutti questi 11 paesi si possono vedere diversi esempi di terroristi dal passato criminale, con carriere criminali. In Belgio o in Francia vediamo un fenomeno che chiamiamo “terrorismo jihadista”, assistiamo anche ad un fenomeno dove vediamo persone che cercano piccoli criminali e spacciatori per strada, entrambi radicalizzati da imam o da reclutatori attivi provenienti dal sedicente Stato Islamico, oggi di nuovo in questi paesi. La strategia dell’Isis ora è cambiata, dal reclutamento di persone per viaggiare in Siria, ora stanno chiedendo ali aspiranti jihadisti di rimanere a casa e perpetrare l’attacco a Parigi, a Berlino, a Bruxelles e ovunque si trovino. È questo il modo in cui diventano terroristi”.

In che modo i terroristi utilizzano la loro rete per finanziare le loro attività?
Finora non possiamo trarre conclusioni basate sui dati che abbiamo. Queste informazioni preliminari per ora mostrano che non ci sono troppe persone che utilizzano fondi derivati da attività illegali. Abbiamo ipotizzato che il terrorismo trovi finanziamento da reti criminali e da attività illecite, tuttavia fino ad ora non sembra così, perché la maggior parte di queste persone usano i loro stipendi, i loro benefit sociali, alcuni di loro usano anche i loro risparmi per finanziare il terrorismo se guardiamo al livello individuale. Se guardiamo invece al livello organizzativo, ci potrebbe essere un aspetto diverso, ma non è questo su cui ci concentriamo, così questi individui solitamente usano mezzi legali e finanziano il terrorismo con armi, o attraverso la logistica…”.

Quindi, pensi che ci sia un vero pericolo in Europa?
Sì, sicuramente. Guardando a questo database che abbiamo, e guardando anche ad altri dati provenienti dai media, si può dire che la maggioranza di queste persone sono nate nell’Unione europea o se non sono immigrati di prima generazione, sono di seconda o terza generazione, quindi la maggior parte di queste persone sospettate di aver compiuto o di pianificare attacchi terroristici sono cittadini europei per nascita o per cittadinanza. Questo è un problema enorme per l’Unione Europea, che è destinato ad aumentare a causa di un gran numero di combattenti stranieri che stanno tornando nei loro paesi di origine, portando con sé l’esperienza di combattimento in Siria. Credo che questo sarà un problema che dovrà essere affrontato dai servizi di sicurezza in Europa, inoltre sempre più persone saranno radicalizzate, ad esempio, abbiamo tantissimi giovani europei che sono musulmani e questi potrebbero essere influenzati da coloro che tornano da Siria e Iraq ad unirsi alla jihad, ad unirsi alla loro causa e che potrebbero perpetrare attacchi in Europa. Per questo penso che ci sia un vero pericolo“.

Che cosa possono fare gli stati europei per prevenire questi fenomeni?
Ci sono diversi modi in cui gli Stati si stanno preparando a prevenire questo problema. Ad esempio, la legislazione francese ha da poco introdotto la destinazione di uno spazio separato per quei soggetti radicalizzati nelle prigioni poiché una parte del problema è anche la radicalizzazione in carcere: ladri, assassini e altri criminali mentre passano il loro tempo in cella, si radicalizzano e quando escono compiono attacchi terroristici. Per questo motivo, e questa è la prova di oggi in Francia, si è capito che è necessario separare coloro che sono noti come terroristi o reclutatori da coloro che sono schedati come potenziali criminali. Un altro aspetto importante, affrontato a livello nazionale ed internazionale, è che ci sono un sacco di questioni etiche, morali e legali circa il ritorno delle madri con i bambini collegati ai combattenti dell’Isis, si sta discutendo sul programma di reinserimento nei paesi che hanno avuto un maggior numero di persone che si sono arruolate tra le file dei combattenti dell’Isis. L’integrazione è facile da dire, ma difficile da compiere. Abbiamo affrontato questo problema per decenni almeno e resterà un problema per il tempo a venire“.

Parlando di madri e bambini, per esempio nelle prigioni libiche ci sono molti parenti dei combattenti dell’ISIS provenienti dalla Tunisia. Perché il loro paese non li accetta?
Penso che sia un problema di sicurezza nazionale per questo paese. Ma vede, non c’è bisogno di andare in Nord Africa per vedere questo aspetto, abbiamo lo stesso esempio in Europa quando i paesi come la Gran Bretagna e la Francia stanno rimanendo tranquilli mentre i loro cittadini sono detenuti nelle prigioni in Iraq e in Siria. Questi cittadini sono noti per essere jihadisti, o membri dell’Isis e questi paesi non vogliono importare un altro problema per la loro sicurezza nazionale. E ‘una domanda difficile, ogni paese ha le sue priorità e la politica che per il momento viene applicata è quella di aspettiamo e vediamo”.

Ma sono loro cittadini, non sono qualcosa che i paesi importano …
Lo so, ma c’è un problema, perché non li vogliono indietro, ad esempio l’esercito britannico e le forze americane hanno specificamente detto che non vogliono che questi cittadini ritornino nei loro paesi. Loro vorrebbero che questi vengano assicurati alla giustizia nei paesi in cui si trovano, ma non sono preparati per questo e rappresentano un fardello anche per loro. Le sto dicendo ciò che accade ora nell’Unione Europea, onestamente non ho una soluzione per questo problema”.

Pensi che i bambini possano essere reintegrati?
Questo è un processo a lungo termine perché questi bambini hanno visto tante cose, alcuni di loro hanno visto la decapitazione, esecuzioni e combattimenti. Sono stati esposti a violenza estrema, ora quando tornano, hanno bisogno di essere reintegrati. L’Unione europea si basa sui valori della democrazia e sul rispetto dei diritti umani, quindi dovremmo reintegrare queste persone, ma deve esserci una politica efficace. Un esempio è rappresentato da come i russi hanno gestito il rientro dei connazionali di ritorno dalla Siria, spesso bambini piccoli. La loro politica è stata quella di affidare questi bambini ai loro nonni, per farli rimanere nell’ambiente familiare quando tutti i loro genitori sono morti o scomparsi in Siria, li stanno reintegrando e c’è un programma gestito dalle istituzioni locali per riportarli alla vita normale, in modo che non si abituino alla violenza estrema a lungo termine”.

Ci parli del suo progetto: cosa farete nei prossimi mesi? E in che modo la vostra ricerca può aiutare la sicurezza europea?
Il progetto è iniziato a settembre dell’anno scorso, raccogliamo e analizziamo i dati sugli elementi accusati di terrorismo e questa raccolta continuerà fino alla primavera 2019. Abbiamo 11 paesi facenti parte dell’Unione europea, selezionati sulla base del rapporto di Europol per il più alto numero di arresti per reati di terrorismo a partire dal 2015, ecco i primi 11 paesi dell’UE fanno parte del nostro team, della nostra ricerca. Quello che faremo d’ora in avanti: ci sarà la pubblicazione dei nostri rapporti trimestrali dei capitoli nazionali sulla situazione in ciascuno di questi 11 paesi, che ci verranno forniti da team di esperti nazionali, come qui in Italia da parte del professor Marco Lombardi. Durante l’estate stileremo un rapporto di medio termine, ci sarà la presentazione dei dati preliminari, vedremmo la demografia di queste persone, la radicalizzazione degli arrivi, come diventano terroristi, cosa accade in prigione, quali sono le loro reti e con questi dati arriveremo al 2019. Avremo altri incontri come questo di oggi in Università Cattolica, ed altri con i ministri dell’Interno e della Giustizia, con i quali vorremmo parlare delle politiche intraprese alla luce dei problemi riscontrati nel nostro progetto di ricerca. Vogliamo anche coinvolgere coloro che sono attivi sul campo, come le agenzie di sicurezza transnazionali come Europol”.

In materia di antiterrorismo, cosa dobbiamo aspettarci per i prossimi mesi?
La situazione del ritorno dei foreign fighters è quella a mio avviso più preoccupante, ci sono più persone che tornano in Europa e più problemi che hanno a che fare con loro: per il sistema giudiziario, per gli uffici di reintegrazione, per il sistema di immigrazione. Quello che possiamo aspettarci sono alcuni nuovi attacchi terroristici. Non voglio e non mi piace prevederlo, ma penso che dovremo aumentare il livello di sicurezza in diversi paesi. Penso che il ritorno dei foreign fighters rappresenti un grande pericolo in quanto saranno in grado di fare nuovi piccoli attacchi. Dopo la dimensione di costruzione dello Stato, il Califfato, si tornerà al terrorismo tradizionale, ci saranno attacchi più piccoli coordinati da lontano, rinnoveranno questa strategia del terrorismo di controllo remoto, non si incontrano con gli aspiranti jihadisti da vicino, ma comunicano con loro attraverso canali diversi, così condurranno piccoli attacchi terroristici in Europa dalla Siria, Iraq, Pakistan o dall’Afghanistan attraverso attori solitari nel nostro continente“.