Violenza sulle donne: il quadro normativo e le modalità d’intervento della Polizia

0 Comments

Violenza sulle donne: il quadro normativo e le modalità d’intervento della Polizia in Italia

Claudia Ricifari – Giornalista, media content creator

Le norme hanno l’obiettivo di prevenire e contrastare il fenomeno: ecco perché è fondamentale avere coscienza di cosa si possa fare oggi

La Giornata Internazionale contro la Violenza sulle Donne è stata istituita nel 1999 dalle Nazioni Unite, con la richiesta, agli Stati membri, di attuare tutta una serie di attività di sensibilizzazione sul tema.

Se devo essere sincera, non ricordo in quegli anni grandi cose in proposito, almeno in Italia. Ero in piena adolescenza e forse la mia soglia di attenzione rispetto a fatti di questo tipo era relativamente bassa, ma credo di non sbagliarmi nel dire che questo suggerimento dell’ONU sia passato in sordina per qualche anno.

Poi un giorno ci si è resi conto che le cose erano cambiate, che la violenza di genere era un problema che non poteva essere più sottovalutato. E allora, via con manifestazioni di ogni tipo, tra parate, maratone tv, fiocchi rosa e quant’altro. È diventato un argomento politico, in tutte le accezioni possibili del termine.

Eppure, da un punto di vista legislativo, ci eravamo già mossi, con l’abrogazione di alcune leggi evidentemente discriminatorie che alimentavano una certa cultura della prevaricazione dell’uomo sulla donna. Cultura che, ahimé, non è altrettanto facile cambiare nelle menti di alcuni, ancora oggi. Così, abbiamo potuto dire addio a quelle norme che punivano l’adulterio da parte della moglie, il concubinato e il delitto d’onore.

È solo nel 2013, però, che si è deciso di adottare una serie di disposizioni specifiche «in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere», attraverso la legge 119 di quell’anno. Una legge che ha definito e approfondito tutta una serie di reati e ha stabilito inasprimenti delle pene, per cercare di prevenire quei comportamenti a scapito del sesso femminile di cui tanto si sente parlare nei fatti di cronaca.

I dati del 2017 (aggiornati a settembre) parlano di una diminuzione del numero di violenze. Secondo il Ministero dell’Interno quelle sessuali (da gennaio a settembre) sono scese dalle 3095 del 2016 alle 3059 di quest’anno, mentre tra gli omicidi di donne (84), 61 sono commessi nell’ambito familiare e affettivo. Di questi, i femminicidi propriamente detti (quindi avvenuti perché donna, come atto estremo di prevaricazione, affermazione ultima di superiorità, aberrazione del possesso) sono 31. E ancora, sempre paragonando i nove mesi presi in esame, gli atti persecutori (stalking) sono 10067 nel 2016, mentre nello stesso periodo del 2017 sono 8480. I maltrattamenti passano da 10876 a 9818. Numeri che dimostrano che in qualche modo l’adeguamento dell’impianto normativo ha sortito effetti positivi, ma che non devono far cantare vittoria.

Il problema, infatti, è il sommerso, perché il più delle volte la violenza si consuma all’interno delle mura domestiche o per mano di persone con cui ci si sente ancora legate, per via di un sentimento non del tutto sopito, dei figli o della dipendenza economica. È quindi difficile stabilire con chiarezza quante siano davvero le vittime, specie nel caso dei maltrattamenti. Spesso inoltre non si hanno le idee chiare su cosa preveda la legge e quale sia la rete di supporto a integrazione dell’attività giudiziaria e di polizia.

È questo il nocciolo della questione: le norme hanno l’obiettivo di prevenire e contrastare il fenomeno, ma servono a poco se le vittime non hanno coscienza di cosa si può fare oggi.

Ecco perché abbiamo deciso di redigere una sorta di guida, grazie all’aiuto dellaDottoressa Rita Fabretti, Vice Questore Aggiunto della Polizia di Stato e Dirigente della Sezione della Squadra Mobile, specializzata in materia di violenza sessuale e in danno dei minori della Questura di Milano.

LE TIPOLOGIE DI REATO

Se parliamo specificatamente di violenza di genere, tre sono le fattispecie di reato previste dal codice penale.

1. ATTI PERSECUTORI (art. 612 bis, il cosiddetto stalking)
Sono atti continui, reiterati nel tempo, che rappresentano una condotta persecutoria nei confronti della vittima tale da determinare un perdurante stato d’ansia o di paura o di timore per l’incolumità propria e dei propri cari o da costringere la vittima ad alterare le proprie abitudini di vita.
«Sono due gli ambiti in cui si può verificare: quello dello sconosciuto che inizia a seguire una persona e a spaventarla (per il fatto stesso di seguirla o attraverso messaggi, minacce) e quello legato ai rapporti interpersonali», chiosa Fabretti.

Esempi: il maniaco della metropolitana che fa sempre lo stesso tragitto insieme alla ragazza che ha puntato; il fan ossessionato che ripetutamente scrive, insulta, segue il personaggio famoso; l’ex fidanzato che non accetta in modo categorico e molesto la fine della relazione.

2. MALTRATTAMENTI CONTRO FAMILIARI O CONVIVENTI (art. 572)
Anche qui, perché sussista il reato la condotta deve essere reiterata, tale da determinare uno stato di mortificazione e subordinazione della vittima che si traducano in un regime di vita vessatorio.
«Non si parla di sola violenza fisica», spiega Fabretti. «La caratteristica dei maltrattamenti è che sono reati con una condotta di natura varia. Nell’immaginario collettivo la violenza sulle donne è solo l’uomo che alza le mani sulla donna; in realtà ci sono una serie di condotte non per forza manesche, ma ugualmente mortificanti per una donna. La donna maltrattata può esserlo non solo fisicamente, ma anche psicologicamente, con conseguenze altrettanto pesanti. Spesso tutte queste condotte, fisiche e non, si verificano contemporaneamente».

Esempi: «Può esserci l’uomo che sistematicamente picchia la moglie, ma anche quello che non la tocca, che però è vessatorio in altro modo, magari non dandole l’autonomia economica o insultandola o minacciandola in maniera continuativa. Questo genere di maltrattamenti possono essere più difficili da dimostrare».

3. LA VIOLENZA SESSUALE (art. 609 bis)
Va sottolineato come la norma sia cambiata rispetto a prima, quando c’era distinzione fra atti di libidine e la congiunzione carnale violenta (stupro). «Ora rientrano sotto la nomenclatura di violenza sessuale tutti gli atti di natura sessuale, e non solo la congiunzione carnale, che la vittima viene costretta o indotta a subire o compiere prescindendo dal suo consenso», ci spiega.
In tale contesto lo stupro, il palpeggiamento o le molestie di natura sessuale rientrano sì sotto lo stesso tipo di reato, ma sono ovviamente distinti a livello di pene previste.

In tutti e tre le tipologie di reato è possibile che i comportamenti sfocino in una spirale di violenza: si parte da dispetti o atteggiamenti all’apparenza meno gravi, che però crescendo possano sfociare in vere e proprie lesioni o, nei casi più gravi, nell’omicidio.
È importante sottolineare, però, che da un punto di vista normativo non esiste il reato specifico di femminicidio. Questo termine, infatti, non ha valenza giuridica, ma è entrato a far parte del lessico quotidiano per distinguere l’atto criminale estremo di un uomo su una donna come segno di supremazia, prevaricazione o possesso.

LE AGGRAVANTI

Il codice penale prevede delle aggravanti/attenuanti comuni, cioè che possono essere applicate a tutti i tipi di reati, e delle aggravanti specifiche. Tra le prime, per i delitti non colposi contro la vita e l’incolumità individuale, la libertà personale e i maltrattamenti, la pena è aggravata se il reato è commesso di fronte o in danno di minori o ai danni di una donna in gravidanza. Tra le seconde, introdotte dalla legge n. 119 del 2013, la pena è aumentata se la violenza sessuale è commessa ai danni di una donna in gravidanza o se il colpevole è un convivente, familiare o divorziato o comunque legato da una relazione affettiva, anche senza convivenza.
«Questo significa – continua Fabretti – che il legislatore ha ben presente che la violenza sulle donne è spesso soggetta a un’escalation, e ha previsto pene via via più severe in base alla gravità della condotta. Sarà poi il magistrato, caso per caso, a valutare le singole situazioni».

DENUNCE E/O SEGNALAZIONI

Per i maltrattamenti la procedibilità è d’ufficio, cioè si prescinde da una denuncia della persona offesa. Per far sì che parta il procedimento penale basta anche che un vicino di casa o un altro familiare faccia una segnalazione, o che la vittima stessa vada in ospedale e ci siano elementi sospetti.
«Nel momento in cui noi veniamo a conoscenza di un fatto che per legge è procedibile d’ufficio abbiamo l’obbligo giuridico di intervenire e far partire le indagini» spiega il funzionario di Polizia.

I reati di violenza sessuale e atti persecutori (salvo alcuni casi gravi) sono procedibili a querela, cioè dev’essere la vittima a denunciare perché il procedimento inizi.
La querela deve essere presentata entro 6 mesi ed è irrevocabile nel caso di violenza sessuale. In alternativa alla querela, sia nel caso di stalking che di di violenza domestica, si può chiedere l’ammonimento da parte del Questore, che, svolti alcuni accertamenti, invita la persona accusata a mantenere una condotta conforme alla legge (l’uomo viene ammonito oralmente e viene redatto processo verbale).
«Questo passo è importante perché se lui prosegue negli atti persecutori, il reato diventa perseguibile d’ufficio e la pena è aggravata».

L’arresto è possibile nella flagranza di reato (la persona deve essere colta in quel momento a compiere reato o lo deve aver commesso poco prima). Se non c’è flagranza, l’autorità giudiziaria in presenza dei presupposti, può adottare (o chiedere l’adozione di) misure cautelari, come il divieto di avvicinamento nei luoghi frequentati dalla vittima o, nei casi più gravi, la custodia cautelare in carcere o gli arresti domiciliari.

A CHI CI SI PUÒ RIVOLGERE

«Le vittime possono rivolgersi a qualsiasi ufficio di polizia e nei casi in cui presentino un qualsiasi tipo di violenza, vengono in genere seguite da personale specializzato. In caso di minorenni, subentra automaticamente l’autorizzazione del magistrato per l’ascolto protetto, cioè alla presenza di uno psicologo, che può essere richiesto anche nel caso di donne maggiorenni, in situazioni di particolare vulnerabilità», dice Fabretti.

È qui che diventa fondamentale il ruolo degli operatori di Polizia, che «sono chiamati a porsi in ascolto, a non formulare giudizi e a raccogliere con professionalità il racconto spontaneo e autentico. A volte la vittima decide di denunciare l’ultimo episodio di violenza e poi ci racconta vent’anni di vita, rendendosi conto solo in quel momento della gravità di tanti altri comportamenti subiti».

E poi ancora: «In caso di maltrattamenti, si comunicano alla vittima tutti i centri antiviolenza e la si mette in contatto con loro, mentre noi proseguiamo con le indagini. Viene accompagnata all’SVS (Soccorso Violenza Sessuale e domestica, attivo a Milano, ma ci sono servizi equivalenti anche in altre città, ndr), dove c’è un medico legale, un ginecologo, uno psicologo, un assistente sociale e degli avvocati». Tutto questo va a formare la rete di sostegno di cui una donna può avere bisogno nel momento in cui decide di fare un passo avanti, ribellarsi ai soprusi e denunciare.

Purtroppo non è così semplice come sembra. La difficoltà maggiore che riscontrano gli operatori di Polizia non è solo quella di far emergere le violenze. Spesso chi denuncia non riesce poi a sostenere le conseguenze della sua scelta. Non è facile ammettere di essere delle vittime. Non è facile denunciare il proprio compagno, il padre dei propri figli, qualcuno per cui magari si provano ancora dei sentimenti e che si spera sempre, nel profondo del cuore, possa cambiare.

E anche quando questa speranza è ormai perduta, subentrano altri sentimenti che ostacolano quello che per tutti è un processo razionale: si dipende economicamente dall’uomo, si subiscono pressioni da parte di altri familiari, non si è pronti a stravolgere la propria vita e ricominciare da zero.
«L’attenzione di tutti, degli operatori, dei medici, di chi sta accanto a una donna che probabilmente è vittima di soprusi è spesso provvidenziale, per far sì che parta un provvedimento, ma soprattutto affinché subentri un sostegno. Perché la preoccupazione maggiore di una donna che denuncia è: ma dopo che succede?».

COSA BISOGNA SAPERE

La Polizia di Stato è costantemente impegnata nell’attività di contrasto al fenomeno. Impegno che si estrinseca non solo nel momento in cui il reato è compiuto e denunciato, ma attraverso tutta una serie di iniziative operative e preventive.
Proprio in occasione della Giornata Internazionale contro la Violenza sulle Donne è stato presentato un opuscolo, che vi presentiamo in anteprima, in cui sono spiegate tutte le attività messe in atto, dall’ascolto protetto al progetto Camper, al Protocollo Eva.

Illustrazioni di Valeria Crociata

https://www.realtime.it/magazine/people/2017/violenza-sulle-donne-quadro-normativo-polizia#