La memoria della rete

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Massimo Melica

Un sms tra amiche riporta: “Ciao Vale, è successa una cosa gravissima vediamoci in facoltà prima della lezione, non posso dirti nulla per telefono”.

Ciò che l’amica del cuore riporterà a Valentina è la violazione dell’immagine della ragazza, avvenuta attraverso delle foto, scattate in un momento di intimità e poi veicolate su canali peer to peer o in uno dei tanti siti di annunci o incontri.

Ma Valentina cosa è successo? Perché Ti sei fatta riprendere nuda? Perché quelle foto?

Le risposte sono sempre le stesse: “quella sera ho bevuto un po”; “era il mio ragazzo e volevamo vivere tutta la vita insieme, ma poi è finita”, “non pensavo che le avrebbe mai pubblicate”, “mi ha fatto vedere che le ha cancellate”.

In Valentina scatta il rimorso, occorre trovare il coraggio per dirlo ai genitori e al papà che ancora la crede una bambina, occorre superare le risatine degli amici che da quel giorno la vedranno come una “poco di buono”.

Valentina è un nome inventato, ma tante sono le ragazze che subiscono il disagio nel trovarsi sul web senza veli e in atteggiamenti molto intimi, il gioco condotto in buona fede spesso si trasforma in dramma.

La fase successiva è quella che si ripropone puntualmente nei nostri studi legali, l’umana difficoltà nel comunicare ai genitori che le foto condivise in “peer to peer” non possono essere fermate e che decine di utenti, forse centinaia, vedranno quei files rinominati con “il comune di residenza, il nome e cognome della figlia”.

Avviate le indagini l’autore della violazione sarà individuato, più che dalla “net-forensics”, dalla testimonianza della ragazza, dalla perquisizione presso il domicilio dell?autore e dal sequestro del personal computer di quest’ultimo.

Seguiranno anni di giudizi penali e civili, i primi per l’accertamento del reato i secondi per definire un giusto risarcimento.

Questa in sintesi la cronaca per un uso distorto della Rete.

L’ultima indagine condotta dalla Information Commission Office (ICO), l’autorità indipendente britannica per l’accesso a dati ufficiali e la protezione della privacy , riporta che vi è un serio pericolo rispetto alle prospettive lavorative di chi oggi cade nella trappola creata da una “disinibita” gestione della propria immagine digitale.

L’indagine afferma che sono numerosi i casi di coloro, che pur avendo un ottimo curriculum vitae, si vedono scartati per foto o filmati su you tube ritenuti non in linea con lo spirito della parte datoriale.

Tutti concordiamo nel fatto che la vita personale sia una sfera ben distinta da quella lavorativa, tuttavia da sempre pregiudizi e sospetti sono stati in grado di influenzare le decisioni.

L’invito ai giovani è di tutelare la propria immagine, ciò che oggi fate un po’ per gioco un po’ per superficialità domani potrà influenzare, o peggio rovinare, la vostra carriera professionale.

La tutela dei diritti legati all’immagine, alla riservatezza, all’onorabilità e alla reputazione deve essere valutata anche in merito alla potenza temporale che la “memorizzazione del dato” assume rispetto allo strumento tecnologico, per questo se una foto su carta può avere un tempo di vita di qualche decennio possiamo pensare che la foto digitale diffusa sulla Rete assuma caratteri non solo di globalizzazione della risorsa, quanto di conservazione illimitata.

Il maestro Umberto Eco afferma che “Internet è come un immenso magazzino (di informazioni), ma non può costituire di per sé la “memoria”; sento di condividere questa affermazione qualora sia legata al concetto di analisi, ovvero all’attività interpretativa dell’uomo, tuttavia oggi le moderne tecnologie della comunicazione hanno la capacità di memorizzare nel tempo fatti e dati che, se da un lato rafforzano il concetto di trasparenza, dall’altra ingenerano il pericolo di una diminuzione del diritto all’oblio, diventando così inesorabilmente memoria dell’uomo.

L’uomo solo con un approccio corretto potrà vivere positivamente le enormi capacità che offrono le nuove tecnologie della comunicazione, in caso contrario sarà destinato a subirle, non per una intrinseca pericolosità delle stesse, ma per l’uso irresponsabile di chi, accostandosi, ne ignora le capacità.

Vai all’articolo originale del 22 gennaio 2009